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Italia Gualtieri

Un figurativo meno evidente, l’assoluta bicromia bianco-nero e la fisica spazialità del soggetto sono l’inedito segno dell’ultima produzione di Füsun Akbaygil, pittrice sapiente di vivide favole lontane e dell’arcano del tempo ma degli incanti, anche, e delle domande della vita.

Nel candore dei fogli sottili, fitti tratteggi addensano l’inchiostro irregolare in mosse sequenze di corte campiture componendo un volume che sconfina; un’ampia velatura di china liquida e brumosa tocca distese di piccole macchie e di immacolate porzioni dando vita ad un disegno emozionato, dai tratti di una vasta forma peculiare. Sono figure riconoscibili, anzi familiari. Sono i bastioni immensi e innevati del Morrone e della Maiella che Füsun guarda dalla sua nuova casa, visione ineluttabile e sovrana che da sempre protegge o separa, che accoglie o sgomenta lo sguardo di chi arriva. Luogo inevitabile, per l’artista, per saggiare forme, differenze, pensieri.

L’incontro con la natura, che aveva già sedotto Füsun al suo approdo in Abruzzo, è cambiato ed è adesso una dichiarazione di percorso che serve alla composizione di una storia personale. Favolosi e inattesi, gli alberi secolari dell’Appennino mostravano le iridescenze e il sofisticato contorno di una miniatura ottomana; ora la montagna, resa con l’inchiostro nella estrema sintesi della figurazione, pure nell’esattezza e nell’intensità dei meravigliosi scenari, è contesto da decifrare, mappa segnica da possedere per orientarsi ed “entrare” in una nuova terra. “Ieri ho dipinto ciò che sapevo - svelano le parole della pittrice di Istanbul - Oggi dipingo quello che vedo”. E se il rimando è dichiarato alla disciplina, amata e frequentata, dell’antica pittura calligrafica, l’allusione delle nuove prove alla visività dell’Oriente più lontano conferma il significato di una scelta che non è soltanto estetica e formale. Nel segno dell’antica lezione, è un attento, vero esercizio di “ trascrizione” che l’artista compie con il suo gesto: per “apprendere” il paesaggio, coglierne il soffio che può trasformare, inscriverlo in noi. Nella natura, sembra dirci Füsun, il viaggio necessario per ancorarsi, come alla terra delle proprie radici. Come quella, per lei, del mare e degli alti orizzonti, dell’Egeo più spinto ad oriente, del sole che smalta le onde di grano e le colline e trasfigura i colori degli elementi. Ed ecco allora i paesaggi dolci e voluttuosi dell’estate del “ritorno”, immagini che toccano gli occhi e il profondo, linee e cromie che seducono e ricoprono, questa volta, la tela narrando di un altro legame, denso e senza tempo come le pastose stesure che hanno il segno di una morbida straniante pittura “en plein air”.

Due storie, due cammini. Ma nella differenza delle narrazioni - differenza sorprendente e felice di stili e differenza dei mondi, fisici e psicologici, che certo sprigionano le diverse espressioni - un’unica tensione, che è a stessa irrinunciabile ricerca di un principio che ci colleghi agli universi che vivono intorno a noi. Nelle chine meditative di un inverno da addomesticare, nei dipinti smaglianti di una terra mai lontana, in questo viaggio duale, la direzione e la meta sono le stesse, come il cielo che guarda chi è in cammino.